Poeti del primo secolo della lingua italiana in due volumi raccolti
Lodovico Valeriani (editor)
Urbano Lampredi (editor)
1
Textual apparatus for both volumes (e.g., footnotes appearing in the text) will be
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Poeti del Primo Secolo della Lingua Italiana
Lodovico Valeriani
Urbano Lampredi
Firenze
1816
1
[i]-ix, [1]-552, errata page
1
2 volumes
Brown University Library
pq4213.a2p6
volume 1
23 cm
Commentary
Textual History: Composition
Textual History: Revision
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Table of Contents and First-Line Index
-
SALADINO DA PAVIA
-
[Rosa fresca aulentissima . . . . 1](A.R.1)
-
FOLCACHIERO DE'FOLCACHIERI
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[Tutto lo mondo viva sanza guerra . . . . 15](A.R.2)
-
LODOVICO DELLA VERNACCIA
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[Se'l subietto preclaro, o Cittadini . . . . 18](A.R.3)
-
SAINT FRANCIS OF ASSISI
-
[Ordina quest'amore, o tu che m'ami . . . . 30](A.R.4)
-
FREDERICK II, EMPEROR
-
[Di dolor mi conviene cantare . . . . 55](A.R.5)
-
GUIDO GUINICELLI
-
[Al cor gentil ripara sempre Amore . . . . 91](A.R.6)
-
[Tegno di folle impresa, allo ver dire . . . . 93](A.R.7)
-
[Chi vedesse a Lucia un var cappuzzo . . . . 100](A.R.8)
-
[Pure a pensar mi par gran maraviglia . . . . 102](A.R.9)
-
[Io vo'del ver la mia donna lodare . . . . 111](A.R.10)
-
[Uomo, ch'è saggio, non corre leggiero . . . . 112](A.R.11)
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GUERZO DI MONTECANTI
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[Se alcun volese la cagion savere . . . . 124](A.R.12)
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INGHILFREDI, SICILIANO
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[Greve puot'uom piacere a tutta gente . . . . 144](A.R.13)
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ENZO, KING OF SARDINIA
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[Tempo vien di salire e di scendère . . . . 177](A.R.14)
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GUIDO DELLE COLONNE
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[Amor, che lungiamente m'hai menato . . . . 194](A.R.15)
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RINALDO D'AQUINO
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[Venuto m'è in talento . . . . 216](A.R.16)
-
[Oramai quando flore . . . . 223](A.R.17)
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GIACOMINO PUGLIESI
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[Morte, perchè m'hai fatto sì gran guerra . . . . 230](A.R.18)
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[Quando veggio rinverdire . . . . 243](A.R.19)
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[La dolce ciera piacente . . . . 247](A.R.20)
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JACOPO DA LENTINO
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[Madonna mia, a voi mando . . . . 255](A.R.21)
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[Maravigliosamente . . . . 257](A.R.22)
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[Membrando ciò, che Amore . . . . 260](A.R.23)
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[Amor non vuol ch'io clami . . . . 263](A.R.24)
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[Dolce cominciamento . . . . 285](A.R.25)
-
[Lo viso mi fa andare allegramente . . . . 291](A.R.26)
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[Diamante, nè smeraldo, nè zaffino . . . . 302](A.R.27)
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[Io m'aggio posto in core a Dio servire . . . . 319](A.R.28)
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MAZZEO DI RICCO DA MESSINA
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[Sei anni ho travagliato . . . . 329](A.R.29)
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[Lo gran valore e lo pregio amoroso . . . . 331](A.R.30)
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[Chi conoscesse sì la sua fallanza . . . . 334](A.R.31)
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PANNUCCIO DAL BAGNO PISANO
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[Madonna vostr'altero piacimento . . . . 335](A.R.32)
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BARTOLOMEO DI SANT' ANGELO
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[Eo son sì ricco della povertate . . . . 431](A.R.33)
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SALADINO DA PAVIA
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[Messer, lo nostro amore . . . . 435](A.R.34)
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PRINZIVALLE DORIA
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[Come lo giorno quando è al mattino . . . . 451](A.R.35)
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BONAGGIUNTA URBICIANI, DA LUCCA
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[Gioia, nè ben non è senza conforto . . . . 482](A.R.36)
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[Donna amorosa . . . . 497](A.R.37)
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[La mia amorosa mente . . . . 500](A.R.38)
-
[Saver, che sente un picciolo fantino . . . . 521](A.R.39)
-
[Chi va cherendo guerra, e lassa pace . . . . 522](A.R.40)
SCRITTORI
DEL PRIMO SECOLO
TOMO PRIMO
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Publishers' ornament depicting a hinged box with a crank, possibly representing a
hand-organ, surmounted by a banner with the motto Il piu bel fior ne coglie
POETI
DEL PRIMO SECOLO
DELLA
LINGUA ITALIANA
IN DUE VOLUMI RACCOLTI
FIRENZE
1816.
RIME ANTICHE
--*--
DI VINCENZO
DETTO
CIULLO
D'ALCAMO
Anno 1250.
AMANTE E MADONNA
Impressa in forma assolutamente inintelligibile, e tronca di assai versi,
dall'Allacci.
AM.
Rosa fresca aulentissima,
Ch'appari in ver l'estat,
Le donne te disiano
Pulzelle e maritate:
Traemi d'este focora,
Se t'este a bolontate;
Perchè non aio abento notte e dia
Pensando pur di voi, Madonna mia.
MAD.
Se di meve trabagliati,
Follìa lo ti fa fare.
Lo mar potresti arrompere
Avanti a semenare,
L'abete d'esto secolo
Tutto quanto assembrare.
Avere me non poteria esto monno;
Avanti li cavelli m'arritonno.
AM.
Se li cavelli artonniti,
Avanti foss'io morto;
Cà i'si mi perderìa
Lo solazzo e diporto.
Quando ci passo e veioti,
Rosa fresca dell'orto,
Bono conforto donimi tutt'ore,
Poniamo che s'aggiunga il nostro amore.
MAD.
Che il nostro amore aggiungasi
Non boglio m'attalenti.
Se ci ti trova paremo
Cogli altri miei parenti,
Guarda non t'arricolgano
Questi forti correnti.
Como ti seppe bono la venuta,
Consiglio che ti guardi alla partuta.
AM.
Se i tuoi parenti trovanmi,
E che mi posson fari?
Una difesa mettoci
Di dumilia agostari;
Non mi toccarà patreto
Per quanto avere ha'n Bari.
Viva lo'mperadore, grazi'a Deo;
Intendi, bella, quel che ti dich'eo.
MAD.
Tu me non lasci vivere
Nè sera, nè mattino.
Donna mi son di perperi,
D'auro massa amotino.
Se tanto aver donassimi,
Quanto ha lo Saladino,
E per aggiunta quant'ha lo Soldano,
Toccareme no poterìa la mano.
AM.
Molto sono le femine,
Ch'hanno dura la testa,
E l'uomo con parabole
Le dimina e ammodesta;
Tanto intorno percacciale
Sinchè l'ha in sua podesta.
Femina d'uomo non si può tenere:
Guardati, bella, pur di ripentere.
MAD.
Ch'eo me ne pentesse?
Davanti foss'io auccisa,
Ch'a nulla bona femina
Per me fosse riprisa.
A sera ci passasti,
Correndo alla distisa:
A questi ti riposa canzoneri;
Le tue paraole a me non piaccion gueri.
AM.
Quante sono le sciantora,
Che m'hai mise allo core!
E solo pur pensandoci
Latr'i'quando vo fore.
Femina d'esto secolo
Non amai tanto ancore,
Quant'amo te, rosa invidiata:
Ben credo che mi fosti distinata.
MAD.
Se distinata fosseti,
Caderìa delle altezze;
Chè male messe forano
In te le mie bellezze,
Se tutto addivenissemi,
Tagliaràmi le trezze,
E con Suore m'arrendo a una magione
Avanti che mi tocchin le persone.
AM.
Se tu con Suore arrenditi,
Donna, col viso aèro
Allo Mostero vengoci
E tengomi al Mostero.
Per tanta prova vincerti
Faràlo volontiero:
Con teco stao la sera e lo mattino:
Mi sogno ch'io ti tenga al mio dimino.
MAD.
Oimè tapina misera,
Com'ho reo distinato!
Geso Cristo, l'altissimo
Del core me'aitato,
Concepistimi a abbatterre
In nomo blestiemato.
Cerca la terra, ch'este grande assai,
Chìu bella donna di me troverai.
AM.
Cercat'aio Calabria,
Toscana, e Lombardia,
Puglia, Costantinopoli,
Genoa, Pisa, Soria,
La Magna, e Babilonia,
Tutta la Barberia;
Donna non trovai in tanti paesi;
Onde sovrana di mene te presi.
MAD.
Poi tanto trabagliastiti
Faccioti meo pregheri,
Che tu vadi, addomandimi
A mia mare e a mon peri,
Se dare mi ti degnano
Menami allo Mosteri;
E sposami davanti dell'Avvento,
E poi farò lo tuo comandamento.
AM.
Di cìo che dici, vitama,
Niente non ti bale;
Cà delle tue parabole
Fatto n'ho ponti e scale:
Penne pensasti mettere,
Son ricadute l'ale;
E dato t'aio la bolta sottana;
Dunque, se puoi, tieniti villana.
MAD.
In paura non mettermi
Di nullo manganello;
I'stommi nella grolia
D'esto forte castello;
Prezzo le tue parabole
Men che d'uno zittello.
Se tu non levi e vattine di quaci,
Se tu ci fossi morto, ben mi chiaci.
AM.
Dunque vorresti, vitama,
Cà per te foss'eo strutto?
Se morto essere debboci,
Od intagliato tutto,
Di quaci non mi movera
Se non aio dello frutto,
Lo quale stae nello tuo giardino;
Disìolo la sera e lo mattino.
MAD.
Di quel frutto non abbero
Conti, nè Cavalieri.
Molto lo disiano
Marchesi e Giustizieri;
Avere non ne pottero
Gir onde molto feri.
Intendi bene ciò che boglio dire;
Men este di mill'onze lo tuo avire.
AM.
Molti son li garofani,
Che a casata mandai.
Bella, non dispregiaremi,
Se avanti non m'assai.
Se vento è in proda, e girati,
E giungeti alle prai,
A rimembrare t'hai este parole,
Cà di esta animella assai mi duole.
MAD.
Macára, se dolesseti,
Che cadesse angosciato;
La gente ce accorressono
Da traverso e da lato;
Tutt'a meve dicessono:
Accorri esto malnato:
Non ti diguàra porgere la mano,
Per quanto avere ha'l Papa e lo Soldano.
AM.
Dio lo volesse, vitama,
Cà te fos'morto in casa.
L'arma n'anderia consola;
Cade notte, pantasa
La gente ti chiamàrano
Oi periura malvasa,
Ch'hai morto l'uomo in casata. Traita,
Dammi uno colpo, levami la vita.
MAD.
Se tu non levi, e vattine
Colla maledizione,
Li frati miei ti trovano,
Dentro questa magione,
Bello mio socio, giuroti,
Perdici la persone
Ch'a mene se'venuto a sermonare;
Parente a Amico non t'ave ad aitare.
.
A mene non aitano
Amici nè parente;
Istranio me son, carama,
Infra esta bona gente;
Or fa un anno, vitama,
Ch'entrata mi se'in mente;
Dic'anno, ti vestisti lo traiuto;
Bella, da quello giorno son feruto.
MAD.
Ahi tanto innamorastiti
Giù dallo traìto,
Come se fosse porpora,
Iscarlatto o sciamito!
Se all'Evangelie giurimi,
Che mi si'a marito,
Avere me non poterà esto monno;
Avanti in mare gittomi al profonno.
AM.
Se tu nel mare gittiti,
Donna cortese e fina,
Direto mi ti misero
Per tutta la marina:
Poi che annegasseti
Trovarèti all'arina,
Solo per questa cosa ad impretare:
Con teco m'aio a giungere o'mpiccare.
MAD.
Segnomi in Padre e in Figlio
Ed in Santo Matteo.
So che non se'to eretico,
O figlio di Giudeo;
E cotali parabole
Non udii dire anch'eo.
Cà, mortasi la femina, allo'ntutto
Perdesi lo sabore e lo disdutto.
AM.
Bene lo saccio, carama,
Altro non posso fare,
Se chisso non accomplimi
Lassone lo cantare;
Farlo, mia donna, piacciati,
Chè bene lo puoi fare.
Ancora to non m'ami, molto t'amo;
Sì m'hai preso, com'è lo pesce all'amo.
MAD.
Saccio che m'ami, ed amoti
Di core paladino:
Levati suso e vattine,
Tornaci allo mattino.
Se ciò, che dico, facimi,
Di bon cor t'amo e fino.
Chisso ben t'imprometto, e senza faglia
Te'la mia fede, che m'hai in tua baglia.
AM.
Per ciò che dici, carama,
Niente non mi movo.
Innanti prendi, e scannami,
Tolli esto cortel nuovo.
Esto fatto far puotesi
Innanti scalfi un uovo.
Ahi compli mio talento, amica bella,
Chè l'arma con lo core mi s'infella.
MAD.
Ben saccio l'arma doleti,
Com'uomo ch'ave arsura.
Esto fatto non potesi
Per null'altra misura:
Se non all'Evangelie,
Che mo ti dico, giura
Avere me non puoi in tua podesta;
Innanti prendi, e tagliami la testa.
AD.
L'Evangelie, carama,
Che io le porto in sino,
Allo Mostero presile,
Non ci era lo patrino;
Sora esto libro giuroti,
Mai non ti vegno mino.
Ah compli mio talento in caritate,
Chè l'arma me ne sta in sottilitate.
MAD.
Meo Sire, poi giurastimi,
Eo tutta quanta incendo:
Sono alla tua presenzia,
Da voi non mi difendo.
S'eo menespreso abbiti,
Large initial T that begins Folcachieri poem is followed by a misprinted capital U as
the second letter of the first word.
Mercè, a voi m'arrendo.
Allo letto ne gimo alla bon'ora,
Chè chissa cosa n'è data in ventura.
--*--
DI FOLCACHIERO DE'FOLCACHIERI
CAVALIER SENESE.
Anno 1206.
Impressa nella raccolta dell'Allacci.
Tutto lo mondo vive sanza guerra
Ed io pace non posso aver neiente.
O Deo, come faraggio!
O Deo, come sostenemi la terra!
E'par ch'io viva in noia della gente:
Ogni uomo m'è salvaggio:
Non paiono li fiori
Per me com'già soleano,
E gli augei per amori
Dolci versi faceano agli albori.
E quando veggio gli altri Cavalieri
Arme portare e d'amore parlando,
Ed io tutto mi doglio:
Sollazzo m'è tornato in pensieri;
La gente mi riguardano parlando,
S'io sono quello, che essere soglio.
Non so ciò ch'io mi sia,
Nè so perchè m'avvene
Forte la vita mia:
Tornato m'è lo bene in dolori.
Ben credo, ch'eo finisco, e n'ho'ncomenza
E lo mio male non porìa contare,
Nè le pene ch'io sento.
Li drappi di vestir non mi s'agienza,
Nè bono non mi sa lo manicare,
Così vivo in tormento,
Nè so onde fuggire,
Nè a cui m'accomandare:
Convenemi soffrire
Tutte le pene amare in dolzori.
Eo credo bene, che l'Amore sia,
Altro Deo non m'ha già a giudicare,
Così crudelemente.
Chè l'Amor è di tale signoria,
Che le due parti a sè vuole tirare,
E'l terzo è della gente.
A Dio per ben servire
S'io ragione trovasse,
Tom. I. 2
Non doverìa fallire
A lui così ch'i'amasse per cori.
Dolce Madonna, poich'eo mi moraggio,
Non troverai chi s'abbia in te servire
Tutta sua volontate;
Ch'unque non volli, nè vo', nè vorraggio
Se non di tutto a fare a piacere
Alla vostra amistate.
Mercè di me vi prenda,
Che non mi sfidi amando:
Vostra grazia discenda,
Però ch'eo ardo e incendo da fori.
--*--
DI LODOVICO DELLA VERNACCIA
Anno 1200.
Impresso dal Crescimbeni mei Commentarj della Volgar Poesia.
-----
Se'l subietto preclaro, o Cittadini,
Dell'atto nostro ambizioso e onesto
Volete immaginar, chiosando il testo,
Non vi parrà che noi siamo fantini?
S'alli nostri accidenti ed intestini
Casi ripenserete, con modesto
Aspetto inchinerete il cor molesto;
Fien radicati al cor in duri spini.
Quando ragion corregge li difetti
Del diverso inimico; e lor conturba
Non della spada il trionfar posarse,
Ma imbratta con forza e'sensi eretti,
Se vuole usar contra la falsa turba,
Solo la spada vuol magnificarse.
--*--
DI SAN FRANCESCO D'ASSISI
Cristo
This poem is a cantica.
Ordina quest'amore, o tu che m'ami:
Non è virtù senz'ordine trovata:
Poichè trovare tanto tu me abbrami,
Sia la mente con virtù rinovata.
A me amare voglio, che tu chiami
La caritate, quale sia ordinata.
Arbore si è provata
Per l'ordine del frutto,
Lo qual dimostra tutto
D'ogni cosa il valore.
Tutte le cose, che aio create
Sì son fatte con numero e mensura,
Ed al lor fine son tutte ordinate;
Conservansi per ordin in valura:
E molto più ancora caritate
Sì è ordinata nella sua natura.
Or como per calura,
Alma tu se'mpazzita?
For d'ordin tu se'uscita;
Non t'è freno el fervore?
DI FEDERIGO II. IMPERADORE
--*--
Di dolor mi conviene cantare
Com'altr'uom per allegranza;
Ch'io non lo so dimostrare
Lo male, ch'i'ho, per sembianza
In cantando lo voglio contare
A tutta gente, e dare dottanza;
E dico, oimè tapino!
Di colei, cui sono al chino,
Di sospirar mai non rifino
Della rosa fronzuta
Diventerò pellegrino;
Ch'io l'aggio così perduta.
Perduta non voglio che sia,
Nè di questo secolo gita,
Ma l'uomo, che l'ha in balía
Da tutte gioie l'ha partita.
E pens'a ciascuna dia
Lo giorno, che fui partita,
Non fuss'eo nata nel mondo.
Ciascun giorno, che m'appressa,
Sospiro ed aggrondo.
Al mondo non foss'eo nata,
Chè a tal marito son data
Che d'amore non mette cura.
Nel mondo non foss'eo nata
Femina con ria ventura,
Chè a tal marito son data,
Che d'amare non mette cura.
Se m'allegro alcuna fiata,
Tutto'l giorno sto in paura
Però ch'io non sia veduta
Da così sozza paruta:
Incautamente sono battuta.
Non fore chi dicere, basta:
Se Dio del Cielo non m'aiuta
Morta sono a guasta.
Dio del Cielo, tu che lo sai,
Or mi dona il tuo conforto:
Del peggiore, che sia giammai,
Vengiami; il vedess'io morto
Con pene e dolori assai,
Poi ne saría a buon porto;
Chè io ne saría gaudente;
A tutto lo mio vivente;
Piangerialo infra la gente,
E batteriami a mano,
Poi diria infra la mia mente,
Lodo Dio sovrano.
Sovrano Dio, or tu che'l sai,
Gran mestiero mi fa ch'io pianga
D'un cattivo, ch'io pigliai.
Non mi vale chiave nè stanga
Semprechè mi tiene in guai,
Che nel mondo più non rimanga.
A ciascuno della magione
Si ranuzza il suo sermone,
Che guardin bene la prigione,
Che io non n'esca fore,
Sì ardente è lo foco
Che m'arde infra lo core.
Voglio che l'amore mio canti,
Di bella Druda si vanti,
Di mio amore vo che s'amanti,
E portine ghirlanda:
Ch'io farò tanti sembianti,
Quanti Amore comanda.
-----
DI GUIDO GUINICELLI
Impressa nelle Rime Antiche.
Al cor gentil ripara sempre Amore,
Come l'augello in selva alla verdura
Ne fe'Amor, anti che gentil core,
Nè gentil cor, anti che Amor, Natura
Chè adesso com'fu il Sole
Sì tosto lo splendore fu lucente,
Ne fu davanti il Sole.
E prende Amore in gentilezza loco,
Così propriamente,
Come calore in clarità di foco.
Foco d'amore in gentil cor s'apprende,
Come virtute in pietra preziosa;
Chè dalla stella valor non discende,
Anzi che il Sol la faccia gentil cosa;
Poi che n'ha tratto fuore
Per sua forza lo Sol ciò che li è vile
La Stella i dà valore.
Così lo cor, ch'è fatto da natura
Schietto, puro, e gentile,
Donna, a guisa di stella, lo innamora.
Amor per tal ragion sta in cor gentile,
Per qual lo foco in cima del doppiero.
Isplende al suo diletto, chiar, sottile;
Non li staria altrimenti; tanto è fero.
Così prava natura
Ricontra Amor, come fa l'acqua il foco
Caldo per la freddura.
Amore in gentil cor prende rivera,
Per suo consimel loco,
Com'diamante del ferro in la miniera.
Fere lo Sol lo fango tutto'l giorno;
Vile riman, nè il Sol perde colore;
Dice nom altier; gentil per schiatta torno;
Lui sembro al fango, al Sol gentil valore:
Chè non de'dare uom fe
Che gentilezza sia fuor di coraggio
In degnità di Re,
Se da virtute non ha gentil core;
Com'acqua porta raggio;
Ma il Ciel riten le stelle e lo splendore.
Splende in la intelligenzia dello Cielo
Deo Creator, più ch'a'nostr'occhi il Sole
Ella intende'l suo fattor oltra'l velo;
E'l Ciel, a lui vogliendo obedir, cole
E consegue al primero
Del giusto Dio beato compimento,
Così dar dovrìa il vero
La bella Donna, che negli occhi splende,
Del suo gentil talento
A chi amar da lei mai non disprende.
Donna, Dio mi dirà, che presumisti?
Stando l'anima mia a lui davanti;
Lo ciel passasti, e in fino a me venisti
E desti in vano amor me per sembianti;
Chè a me convien la laude
E alla Reina del reame degno,
Per cui cessa ogne fraude.
Dir li potrò: tenea d'Angel sembianza,
Che fusse del tuo regno;
Non mi fu fallo, se in lei posi amanza.
--*--
Impressa nella Scelta di Rime Antiche pubblicate in Firenze
dal chiarissimo Sig. Abate Luigi Fiacchi.
Tegno di folle impresa, allo ver dire,
Chi s'abbandona ver troppo possente,
Sì come gli occhi miei, che fer rismire
In ver di quelli della più avvenente.
Che sol per lor son vinti
Senza ch'altre bellezze lor dien forza,
Ch'a ciò far sono spinti:
Sì come gran baronìa di signore;
Quando vuole usar forza
Tutta s'appresta in donarli valore.
Di sì forte valor lo colpo venne,
Che gli occhi nol ritenner di neente,
Ma passò dentr'al cor, che lo sostenne,
E sentissi piagato duramente;
E poi gli rendè pace,
Sì come troppo aggravata cosa,
Che pons'in letto e giace,
Ed ella non si cura di neente,
Ma vassen disdegnosa
Che si vede alta e bella ed avvenente.
Ben si può tener alta quanto vuole;
Chè la più bella donna è che si trove;
Ed infra l'altre par lucente sole,
E falle disparere a tutte pruove:
Chè in lei enno adornezze
Gentilezze, savere, e bel parlare,
E compiute bellezze;
Tutto valor in lei par che si metta.
Posso in breve contare:
Madonna è delle donne gioia eletta.
Ben è gioia eletta da vedere,
Quando appare infra l'altre più adorna,
Che tutta la rivera fa lucere,
E ciò, che l'è d'in cerchio, allegro torna.
La notte, se apparisce,
Come di giorno ìl sol, rende splendore,
Cosi l'aerc sclarisce
Onde il giorno ne porta grande inveggia,
Ch'ei solo have il chiarore,
Ed or la notte egualmente lampeggia.
Amor m'ha dato a Madonna servire:
O voglia io o non voglia, così este;
Nè saccio certo ben ragion vedere
Di come sia caduto a'ste tempeste.
Da lui non ho sembiante,
Ed ella non mi fa vista amorosa,
Perch'eo divenga amante,
Se non per dritta forza di valore,
Che la renda gioiosa
Onde mi piace morir per suo amore.
-----
Chi vedesse a Lucia un var cappuzzo
In co'tenere, e come la sta gente,
Non ha uom di qua in terra d'Abruzzo,
Che non innamorasse coralmente.
Par Sirolina, figliuola d'un Tuzzo
Della Magna o di Francia veramente:
E non si batte co'di serpe muzzo,
Come fa lo meo cor sì spessamente
Di prender lei a forza oltre a suo grato,
E basciarle la bocca e'l bel visaggio,
E gli occhi suo'ch'en due fiamme di fuoco.
Ma pentomi però che m'ho pensato,
Ch'esto fatto porrìa portar dannaggio,
Ch'altrui dispiacerìa forse non poco.
-----
Impressa nella scelta di Rime Antiche pubblicate
in Firenze.
-----
Pure a pensar mi par gran maraviglia,
Come l'umana gente è sì smarrita,
Che largamente questo mondo piglia,
Come regnasse qui senza finita.
E d'adagiarsi ciascun s'assottiglia,
Come non fusse mai più altra vita;
Poi vien la morte e ogni cosa scompiglia,
E tutta sua'ntenzion li vien fallita.
E sempre vede l'un l'altro morire,
E vede ch'ogni cosa muta stato,
E non si sa il meschino rinvenire.
E però credo, solo che il peccato
Acceca l'uomo, e sì lo fa finire,
Che vive come pecora nel prato.
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Impresso nelle Rime Antiche, e nella Bella Mano.
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Io vo'del ver la mia donna lodare,
E rassembrarla alla rosa ed al giglio.
Più che stella Diana splender pare,
E ciò, che lassù è bello, a lei somiglio.
Verdi rivere a lei rassembro, e l'a're
Tutt'è color di fior giallo e vermiglio,
Oro, ed argento, e ricche gio'preclare,
Medesmo Amor per lei raffina miglio.
Passa per via sì adorna e gentile,
Ch'abbassa orgoglio a cui dona salute,
E fal di nostra fe', se non la crede.
E non la può appressar uom, che sia vile:
Ancor ve ne dirò maggior virtute;
Null'uom può mal pensar, finchè la vede.
-----
A BONAGGIUNTA URBICIANI
Impresso nell'Allacci, erroneamente sotto il nome
di Fra Guittone.
Uomo, ch'è saggio, non corre leggiero,
Ma pensa e guarda, come vuol misura.
Poi ch'ha pensato, ritien suo pensiero,
In fino a tanto che'l ver l'assicura;
Uom non si debbe tener troppe altero;
Ma dee guardar suo stato e sua ventura.
Foll'è chi crede sol veder lo vero,
E non crede, ch'altrui vi pogna cura.
Volan per l'aria augei di strane guise,
Nè tutti d'un volar, nè d'uno ardire;
Ed hanno in sè diversi operamenti;
Dio in ciascun grado sua natura mise,
E fe'dispari senni e movimenti:
E però ciò ch'uom pensa, non dee dire.
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DI GUERZO DI MONTECANTI,
O MONTESANTI
Impresso nell'Allacci.
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Se alcun volese la cagion savere
Perchè aggio obliato il dire in rima,
E'l bel cantare, ch'eo solea far prima,
Dirollo in un Sonetto al meo parere.
Chè veggio d'ora in ora il ben cadere,
E profondare; e'l mal sormonta in cima:
Onde'l meo core si consuma e lima,
Sì che niente più non può valere.
Or non vi sento più alcun remeggio,
Sol che veder finire l'universo:
E quest'e l'argomento, che in ciò veggio.
Da po'che il bene è profondato o perso,
Null'altra cosa domando, nè cheggio,
Che il fragil mondo vederlo sommerso.
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D'INGHILFREDI SICILIANO
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The eleventh line, which may be the first line of the second stanza, is not
outdented. This may well be due to printer error.
Greve puot'uom piacere a tutta gente,
Perch'eo parlo dottoso,
E sì com'uom, che vive in grande erranza,
Poi veo salire inganno malamente,
Di tal guisa odioso,
Che a chi nol commise n'è data pesanza.
Eo veo salir lo non saggio in montanza,
E sovrastar li savi addottrinati,
E li argomenti creduti appensati
Mette pazzia per folle oltracuitanza.
Chi non è saggio non de'ammaestrare;
E chi folle comenza
Mal può finir, che a saggio sia approvato;
Perchè'l meo cor sovente de'penare,
Poi mala provedenza
Vuole giacchir naturale appensato;
Ed è in tal guisa corso sormontato,
Che veo signori a servi star subietti,
E servi a signoria essere eletti:
Non può finir chi non ha cominciato.
Non laudo cominciar senza consiglio,
Nè non m'è a piacimento
Dar lodo a chi commette falligione.
Chi ciò consente cade in gran ripiglio,
E chi tace è contento
Di no avanzar chi sa mostrar ragione
Che giusto hae di venir chi nd'ha cagione,
Se bon consiglio crede, va montando
E di follìa solleva bassando:
Lo frutto lauda'l fior, quand'è stagione.
Non piace fior senza frutto a Signore:
A cui falla speranza
Considera lo tempo ch'è a venire;
Vana promessa messo m'ha in errore;
E folle sicuranza
Mi fa del parpaglion risovvenire,
Che per clartà di foco va a morire:
Così mi spiglio, credendo avanzare,
Che molti doglion per troppo affidare:
Lo pesce inesca l'amo, ond'ha a perire.
Poi che tant'aggio contrario veduto,
Cangiato m'è il disìo;
E sto com'uom, ch'è di duol quasi vinto;
E ciò, che di gioi'mi donava aiuto,
M'ave miso in oblio,
In fera vampa di foco m'ha'stinto;
E son di pene d'intorno sì accinto,
Ch'ogni sustanza di ben m'abbandona
A for del tempo ch'un pensier mi dona,
Che a me medesmo dispiacciomi pinto.
Tant'è lo mal, lo ben da se distinto,
Che chi più falla di lodo ha corona;
E chi ben opra, di lui mal si suona:
Ogni buon pregio di buon loco è spinto.
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DEL RE ENZO
Tempo vien di salire e di scendère,
E tempo è di parlare e di tacere,
È tempo di ascoltare e d'imprendère,
Tempo di molte cose provedere,
E tempo è di vegghiare e d'offendère,
E tempo di minacce non temere,
E temp'è d'ubbidire e riprendère,
E tempo è d'infinger non vedere.
Però io tengo saggio e conoscente
Colui che fa suoi fatti con ragione,
E che col tempo si sa comportare,
E che si mette in piacer della gente,
Che non si trovi nessuna cagione,
Che sol d'un fatto si possa biasmare.
DI GUIDO DELLE COLONNE
Impressa nelle Rime Antiche.
The first two stanzas have twelve lines each; the last three stanzas have
thirteen lines each.
Amor, che lungiamente m'hai menato
A freno stretto senza riposanza,
Allarga le tue redini in pietanza,
Chè soverchianza m'ha vinto e stancato:
Ch'ho più durato, ch'io non ho possanza,
Più che non fa Assessino assorcetato,
Che si lascia morir per sua credanza.
Ben este affanno dilettoso, amare,
E dolce pena ben si può chiamare.
Ma voi, Madonna, della mia travaglia,
Che sì mi squaglia, prendavi mercide,
Chè ben è dolce il mal, se non m'ancide.
Oi dolce ciera, con sguardo soave,
Più bella d'altra, che sia'n vostra terra,
Traete lo mio core ormai di guerra,
Che per voi erra, e gran travaglio n'ave:
E sì gran trave poco ferro serra.
Però, Madonna, non v'incresca e grave,
Se Amor vi sforza ch'ogni cosa inserra.
E certo non gli è troppo disonore
Quand'uomo è vinto dallo suo migliore;
E tanto più da Amor, che vince tutto:
Perciò non dutto, che Amor non vi smova
Saggio guerrero vince guerra e prova.
Non dico, ch'alla vostra gran bellezza
Orgoglio non convegna, e stiavi bene;
Chè a bella donna orgoglio ben convene;
Chè si mantene in pregio ed in grandezza.
Troppa alterezza è quella, che sconvene;
Di grande orgoglio mai ben non avvene.
Però, Madonna, la vostra durezza
Convertasi in pietanza, e si rinfrene;
Non si distenda tanto, ch'io ne pera.
Lo Sole è alto, e face lumiera,
E tanto più, quanto in altura pare:
Perciò vostro orgogliare e vostre altezze
Faccianmi pro, e torninmi in dolcezze.
E'l'amo dentro, e sforzo in far sembianza
Di non mostrare ciò, che'l mio cor sente.
Or quant'è dura pena al cor dolente
Istar tacente, e non far dimostranza:
Chè la pesanza alla ciera consente
E fanno vista di lor portamente.
Così son volontieri in accordanza
Gli occhi con lo core insembremente.
Forza di senno è quella, che soverchia,
Ardir di core, asconde ed incoverchia.
Ben è gran senno, chi lo puote fare,
Saper celare, ed essere signore
Dello suo core, quand'este in errore.
Amor fa disviare li più saggi;
E chi più ama, meno ha in se misura.
Più folle è quello, che più s'innamura:
Amor non cura di far suoi dannaggi,
Chè li coraggi mette in tal calura,
Che non pon raffreddare per freddura.
Gli occhi allo core sono li messaggi
De'lor cominciamenti per ventura.
Dunque, Madonna, gli occhi e lo mio core
Avete in vostra man dentro e di fore:
Chè Amore il viver mio mena e combatte,
E batte, come nave il vento inonda:
Voi siete il mio pennel, chè non affonda.
DI RINALDO D'AQUINO
Venuto m'è in talento
Di gio'mi rinovare,
Ch'eo l'avea quasi miso in obrianza.
Ben fora fallimento
Dello'n tutto lassare
Per perdenza cantare in allegranza;
Poichè son dato nella signoria
D'Amor, che solo di piacere è nato,
Piacere lo nodrisce, e dà crescenza.
Vuol che fallenza
Non aggia l'uomo, poich'è suo servente
Ma sia piacente
Sì che piaccia alli buoni e serva a grato:
A pianger vuol che l'uomo allegro stia.
Sia di tal movimento,
Che si faccia laudare
Chi'n fino Amore vuole aver speranza:
Chè per gran valimento
Si deve conquistare
Gioia amorosa di bona intendanza.
Poichè tal este l'amorosa via.
Chi vuole pregio ed essere onorato,
La via ritegna, onde Amor incomenza,
Cioè piacenza,
Chè per piacenza avene nomo valente.
Perchè alla gente
Deve piacere, ed essere inalzato
L'Amore, che si mette in sua balìa.
In balìa e in servimento
Sono stato, e vo stare;
A tutta mia vita amare con leanza.
Poichè per uno cento
M'ha saputo mendare
Del mal ch'eo aggio avuto e la pesanza.
A tal m'ha dato, che non si porìa
Trovare, quando ben fosse tentato,
Una sì bella con tanta valenza:
Onde m'agenza,
Se tuttor l'amo così finamente;
Ch'al mio parvente
Io non porìa d'affanno esser gravato,
Poi di bon cor tal donna servirìa.
Servirìa a piacimento
La più fina ad amare,
Ond'io son ricco di gioia d'amanza:
E lo mio allegramento
Non si porìa cantare
Per ciò che la mia donna ha perdonanza
E nullo core non lo penserìa,
Ched i'pensando fosse sì penato.
Adunque mi facete conoscenza.
Mia penitenza
Aggio compiuta ormai e son gaudente,
Sicchè niente
Ho rimembranza dello mal passato,
Poi chè a Madonna piace ch'i'n gio'sia.
Gioia e confortamento
Di bon cor deo pigliare,
Vedendomi in cotanta beninanza;
Aver sofferimento,
E non unque orgogliare
In ver l'amore; con umilianza
Piacentemente servir tutta via
Chè nullo buon servente è ubriato;
Gran guiderdone ha molta sofferenza;
Chi per temenza
Di troppo dir ne deve esser tacente
Talor si pente.
A voi mi laudo, donna, a cui son dato,
Umile e servente notte e dia.
Impressa nell'Allassi.
The first four stanzas each have nine lines, but the fifth stanza has ten
lines.
Oramai quando flore,
E mostrano verdura
Le prata e la rivera;
Gli augei fanno sbaldore
Dentro della frondura,
Cantando in lor manera,
La primavera, che vene presente
Frescamente sì frondita,
Ciascuno invita ad aver gioia intera.
Confortami d'amare
L'aulimento de'fiori,
E'l canto degli augelli.
Quando lo giorno appare
Sento li dolci amori
E li versi novelli,
Che fan sì dolci, e belli, e divisati
Lor trovati a provagione;
A gran tenzone stan per gli arbuscelli.
Quando l'alloda intendo
E'l rusignol vernare
D'amor lo cor m'affina,
E maggiormente intendo
Ch'è'l legno del truffare
Che d'arder non rifina,
Vedendo quell'ombrìa del fresco bosco
Bene conosco che accertatamente,
Sarà gaudente l'amor, che m'inchina.
China, ch'eo sono amata,
E giammai non amai;
Ma'l tempo m'innamora,
E fammi star pensata
D'aver mercè ormai
D'un fante, che m'adora.
E saccio che costui per me sosteme
Di gran pene; l'un core mi dice
Che si disdice, e l'altro m'incora.
Però io prego Amore,
Che m'intenda e mi svoglia
Come foglia lo vento,
Che non mi faccia fore,
Quel, ch'è preso, mi toglia,
E stia di me contento.
Quegli, ch'ha intendimento
Di avere interna gioia,
E certo del mio amore
Senza romore non dea compimento.
DEL CAVALIERE
IACOPO O GIACOMINO PUGLIESI
DA PRATO.
Anno 1250.
Some stanzas have eleven lines; some have ten lines.
Morte, perchè m'hai fatto sì gran guerra,
Che m'hai tolta Madonna, ond'io mi doglio?
La fior delle bellezze mort'hai in terra,
Perchè lo mondo n'è rimaso spoglio.
Villana morte, che non hai pietanza,
Disparti pura amanza,
Affini e dai cordoglio;
Or la mia allegranza
Post'hai in gran tristanza,
Chè m'hai tolto sollazzo e beninanza
Ch'aver soglio.
Solea aver sollazzo e gioco e riso
Più che null'altro Cavalier che sia.
Or n'è gita Madonna in Paradiso;
Portonne la dolce speranza mia.
Lasciò me in pene e con sospiri e pianti,
Levommi gioco e canti,
E dolce compagnìa,
Ch'io m'avea degli amanti.
Or non la veggio, nè le sto davanti,
E non mi mostra li dolci sembianti,
Che solìa.
Oi Deo! perchè m'hai posto in tale stanza?
Ch'io son smarato, nè so ove mi sia;
Chè m'hai levata la dolce speranza,
Partit'hai la più dolce compagnìa.
Oimè, che sia in nulla parte avviso,
Madonna, lo tuo viso.
Chi'l tene in sua balìa?
Lo vostro insegnamento e dond'è miso?
E lo tuo franco cor chi me l'ha priso,
Donna mia?
Ov'è Madonna? e lo suo insegnamento?
La sua bellezza e la sua canoscianza?
Lo dolce riso, e lo bel parlamento?
Gli occhi, e la bocca, e la bella sembianza?
Lo su'adornamento, e la sua cortesìa?
La nobil gentilìa,
Madonna, per cui stava tuttavia
In allegranza?
Or non la veggio nè notte nè dia
E non m'abbella, sì com'far solìa,
In sua sembianza.
Se fosse mio'l regname d'Ungarìa
Con Grecia e la Magna infino in Franza,
Lo gran tesoro di Santa Sofia,
Non porìa ristorar sì gran perdanza,
Che omè in quella dìa, che sì n'andao
Madonna, e d'esta vita trapassao
Con gran tristanza,
Sospiri e pene e pianti mi lasciao,
E giammai nulla gioia mi mandao
Per confortanza.
Se fosse al meo voler, Donna, di voi,
Direi a Dio Sovran, che tutto face,
Che giorno e notte istessimo ambondoi.
Or sia il voler di Dio, dacchè a lui piace.
Membro e ricordo quand'era con mico,
Sovente m'appellava dolce amico,
Ed or nol face.
Poi Dio la prese, e menolla con sico.
La sua vertute sia, Bella, con tico,
E la sua pace.
Quando veggio rinverdire
Giardino e prato e rivera,
Gli augeletti odo bradire;
Ridendo la primavera,
Hanno loro gioia e diporto;
Ed io voglio pensare e dire,
Canto per donare conforto,
E li mali d'amore covrire,
Che gli amanti perono a gran torto.
L'amore è leggiere cosa;
Molt'è forte essere amato.
Chi è amato ed ama in posa,
Lo mondo ha dal suo lato;
Le donne n'hanno pietanza,
Chi per loro patisce pene.
Se v'è nullo, ch'aggia amanza,
Lo suo core in gioia mantene,
Tuttora vive in allegranza.
In gioia vive tuttavia.
Al cor sento, ond'io mi doglio,
Madonna, pure gelosìa.
Lo pensamento mi fa orgoglio.
Amor non vuole inveggiamento,
Ma vuol essere sofferitore
Di servire a piacimento.
Quello, che tende Amore
Si conviene a compimento.
Vostra fia la'ncomincianza,
Chè m'invitaste, d'amore;
Non guataste in fallanza,
Chè comprendeste il mio core.
Donna per vostra onoranza
Sicurastemi la vita,
Donastemi per amanza
Una treccia d'auro ponita,
Ed io la porto a rimembranza.
La dolce ciera piacente,
E li amorosi sembianti
Lo core m'allegra e la mente,
Quando mi pare davanti.
Sì volontier la vio,
Quella cui eo amai,
Quella cui me fidai,
Ancor l'aspetto e disio.
Dall'aulente bocca venne
Un sospir che mi toccao
Sì che il core nol sostenne:
Piangendo m'addomandao,
Messere, se venite a gire,
Non facciate addimoranza;
Chè non è bona usanza
Lassar l'amore e partire.
Allotta ch'eo mi partivi
E dissi, a Deo v'accomando,
La bella guardò ver mivi,
Sospirava lagrimando.
Tant'erano li sospiri,
Ch'appena mi rispondìa:
La dolce donna mia
Non mi lassava partire.
Io non fuivi sì lontano
Che il mio amor v'ubriasse.
E non credo che Tristano
Isotta tanto amasse.
Quando veggio venire,
E l'aulente donna apparire,
Lo cor mi trae di martire,
E rallegrami la mente.
DI NOTARO IACOPO DA LENTINO
Madonna mia, a voi mando
In gio'li miei sospiri;
Cà lungamente amando
Non vi porea mai diri
Com'era vostro amante,
E lealmente amava:
Ma, però ch'io dottava,
Non vi facea sembiante.
Tanto sete alta e grande,
Ch'io v'amo pur dottando,
E non ao cui vi mande
Per messagger parlando.
Ond'eo prego l'amore,
A cui prega ogni amanti,
Li miei sospiri e pianti
Vi pungano lo core.
Ben vorrìa, s'eo potesse,
Quando sospiri getto,
Ch'ogni sospiro avesse
Spirito ed intelletto,
Ch'a voi, Donna d'amare
Domandasser pietanza
Da poi ch'eo per dottanza
Non m'auso di mostrare.
Voi, Donna, m'ancidete,
E fatemi penare,
Da poi che mi vedete
Ch'io vi dotto parlare.
Perchè non mi mandate,
Madonna, confortando,
Ch'io non disperi, amando,
Della vostra amistate?
Vostra ciera piacente,
Mercè quando a voi chiamo,
M'incalza fortemente
Ch'io v'ami più ch'io v'amo.
Ch'io non vi poterìa
Più coralmente amare,
Ancor che più penare
Porìasi, donna mia.
In gran dilettanza era,
Madonna, in quello giorno,
Quando vi formai in cera
Le bellezze d'intorno.
Più bella mi parete,
Che Isotta la bionda,
Amorosa, gioconda,
Fior delle donne sete.
Ben so, che son vostr'uomo,
S'a voi non dispiacesse,
Ancora che'l meo nomo,
Madonna, non dicesse.
Per vostro amor fui nato,
Nato fui da Lentino:
Donqua debbo esser fino,
Da poi che vi son dato.
-----
Impressa nelle Rime Antiche e nell'Allacci
Maravigliosamente
Un amor mi distringe,
E mi tene ad ognora;
Com'uomo, che pon mente
In altro esemplo, e pinge
La simile pintura;
Così bella facci'eo,
Dentr'allo core meo
Porto la tua figura.
Allo cor par ch'eo porte
Pinta, come voi sete,
E non pare di fore.
E molto mi par forte.
Non so, se vi savete
Com'eo v'amo a bon core;
Chè son sì vergognoso
Ch'eo pur vi guardo ascoso,
E non vi mostro amore.
Avendo gran disìo,
Dipinsi una figura,
Bella, voi somigliante.
E quando voi non vio
Guardo quella pintura,
E par ch'eo v'aggia avante.
Sì com'uom, che si crede
Salvare per sua fede,
Ancor non veggia avante.
Allor m'arde nua doglia,
Com'uom, che tene il foco
Allo suo seno ascoso;
E quanto più lo invoglia,
Tanto prende più loco.
E non può star rinchioso.
Similemente eo ardo,
Quando passo, e non guardo
A voi, viso amoroso.
Se voi siete, quando passo,
In ver voi non mi giro,
Bella, per voi guardare.
Andando, ad ogni passo
Eo gitto un gran sospiro,
Che mi face angosciare.
E certo bene angoscio,
Ch'appena mi conoscio:
Tanto forte mi pare.
Assai v'aggio laudato,
Madonna, in molte parte
Di bellezzo ch'avete:
Non so se v'è contato
Ch'io lo faccia per arte,
Chè voi ve ne dolete.
Aggiatelo per singua
Ciò che vuo'dire a lingua,
Quando voi mi vedrete.
Mia Canzonetta fina,
Va, canta nova cosa,
Moviti la mattina
Davanti alla più fina,
Fiore d'ogni amorosa,
Bionda più ch'auro fino;
Lo vostro amor, ch'è caro,
Donatelo al Notaro,
Ch'è nato da Lentino.
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Impressa nelle Rime Antiche e nell'Allacci
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Membrando ciò, che Amore
Mi fa soffrire e sento
Del mal rimerto, ond'io sono al morire,
Chè, amando, sto in dolore,
In lutto e pensamento,
Dal mio tormento non posso partire:
Chè tuttor ardo e incendo,
Sospirando, e piangendo,
Chè Amor mi fa languire
Di quella, che m'arrendo,
Di me mercè cherendo,
E non mi degna audire.
Son morto, chè m'incende
La fior, che in paradiso
Fu, com'avviso, nata; ond'io non poso.
A toro non discende
Ver me, chè m'ha conquiso
Lo suo bel riso dolce ed amoroso.
Chè i suoi dolci sembianti
Gioiosi ed avvenanti
Mi fanno tormentoso
Istar sovra gli amanti
In sospiri ed in pianti
Lo meo cor doloroso.
Condotto l'Amor m'ave
In sospiri ed in pianto
Di gioia, m'ha affranto e messo in pene.
Son rotto, come nave,
Che pere per lo canto,
Che fanno tanto dolce le Sirene.
Lo marinaio s'oblìa,
Che tene per tal via,
Che perir gli convene.
Così la morte mia,
Quella, che m'ha in balìa,
Che sì dura si tene.
Sì fera non pensai
Che fusse, nè sì dura,
Che la su'altura ver me non scendesse,
La bella, ch'eo amai;
Nè che la sua figura
In tanta arsura languir mi facesse,
Quella, che m'ha in balìa,
In cui son tuttavia
Tutte bellezze messe.
Più che stare in travaglia,
Par che'l soffrir mi vaglia.
O Deo, che mi valesse!
Novella Canzon, prega,
Quella, che senza intenza
Tuttor s'agenza di gentil costumi,
Fuor ch'ella d'amar nega:
Chè in lei regna valenza
E canoscenza, più ch'arena in fiumi:
Chè doglia del mio lutto;
Anzi ch'i'arda tutto,
Che'l suo amor mi consumi:
Dell'amoroso frutto,
Prima ch'i'sia distrutto
Mi conforti e m'allumi.
Impressa nell'Allacci
Amor non vuol ch'io clami
Mercè, com'uomo ch'ama.
Nè ch'io m'avanti, ch'ami,
Che ogn'uom s'avanta, ch'ama:
Chè lo servir, ch'ogni uomo
Sape far, non ha nomo;
E non è pregio laudare
Quel che sape ciascuno.
A voi, bella, tal duno
Non vorria appresentare.
Perciò l'Amor m'insigna
Ch'io non guardi all'altra gente,
Non vuol ch'io rassembri a scigna
Che a ogni viso tene mente
Perciò, Donna mia,
A voi non dimanderìa
Mercè, nè pietanza;
Chè tanti son gli amadori
Ch'este sorte di savori;
Meno è pro per troppa usanza.
Ogni gioia, ch'è più rara,
Tenut'è più preziosa;
Ancora che non sia cara,
Dell'altre è più graziosa.
Cà, se este orientale,
Lo Zaffiro assai più vale,
Ed ha meno di vertute.
E però nelle mercede
Lo mio core non v'accede,
Perchè l'uso l'ha invilute.
Inviluti son li colosmini
Di quel tempo ricordato,
Ch'erano sì gai e fini.
Nulla gioia non n'è trovato.
E le merci siano strette,
Che in nulla parte sian dette;
Perchè paiano gioie vere
In nulla parte sian trovate,
Nè dagli amadori chiamate,
Infin che compia anni nove.
Senza mercè potete
Saver, bella, lo meo disio;
Chè assai meglio mi vedete,
Ch'io medesmo non mi vio.
E però se a voi paresse,
Ch'altro essere non dovesse
Per lo vostro amore avere
Unque gioia non perdiate.
Così volete amistate?
Innanzi vorria morire.
Impressa nell'Allacci
Although this canzonetta is here attributed to Jacopo da Lentino, DGR identifies
it as the work of Ruggiero di Amici, of Sicily. The second stanza has eleven lines, and the
other stanzas have ten.
Dolce cominciamento
Canto per la più fina,
Che sia al mio parimento
Da qui infin a Messina,
Ciòegrave; la più avvenente,
E stella rilucente,
Che levi la mattina.
Quando m'appar davanti.
Li suoi dolci sembianti
M'incendon la corina.
Dolce meo Sir, se incendi,
Or io che deggio fare?
Tu stesso mi riprendi,
Se mi vei favellare,
Chè tu m'hai innamorato
E lo cor m'hai innamorato
E lo cor m'hai laniato
Sì che da for non pare.
Chi membrati alla fiata,
Quand'eo t'ebbi abbracciata,
Ha li docli basciari?
Ed io basciando stava
In gran dilettamento
Con quella, che m'amava,
Bionda e viso d'argento:
Presente me, cantava,
E non mi si celava
Tutto suo convenente
E disse: io t'ameraggio,
E non ti falliraggio
Per tutto il mio vivente.
Al mio vivente, Amore,
io non to falliraggio
Pera lo lusingatore,
Che parla di tal fallaggio;
Ed io sì t'ameraggio.
Per quello, ch'è selvaggio,
Dio li mandi dolore.
Unqua non vegna a maggio.
Tant'ha di male usaggio
Che di state ha gelore.
Lo viso mi fa andare allegramente,
Lo bello viso mi fa rinegare,
Lo viso mi conforta ispessamente,
L'adorno viso, che mi fa penare.
Lo chiaro viso della più avvenente,
L'adorno viso riso mi fa fare.
Di quello viso parlane la gente,
Chè nullo viso contra li può stare.
Chi vide mai così begli occhi in viso?
Nè sì amorosi fare li sembianti?
Nè bocca con cotanto dolce riso?
Quand'eo li parlo, moroli davanti;
E paremi ch'i'vada in paradiso;
E tegnomi sovrano d'ogni amanti.
Diamante, nè smeraldo, nè zaffino,
Nè vernull'altra gemma preziosa,
Topazo, nè giacinto, nè rubino,
Nè l'aritropia, ch'è sì vertudiosa,
Nè l'amatisto, nè'l carbonchio fino,
Lo quale è molto risplendente cosa,
Non hanno tante bellezze in domino,
Quant'ha in se la mia donna amorosa.
E di vertute tutte l'altre avanza,
E somigliante a stella è di splendore
Colla sua conta e gaia innamoranza;
E più bella è che rose, e che fiore.
Cristo le doni vita ed allegranza;
E sì la cresca in gran pregio ed onore.
Impresso nelle Rime Antiche e nell'Allacci
Io m'aggio posto in core a Dio servire,
Com'io potesse gire in paradiso,
Al santo loco, ch'aggio audito dire
O'si mantien sollazzo, gioco, e riso,
Senza Madonna non vi vorria gire,
Quella ch'ha bionda testa e chiaro viso:
Chè senza lei non poterìa gaudire,
Istando dalla mia donna diviso.
Ma non lo dico a tale intendimento,
Perch'io peccato ci volesse fare;
Se non veder lo suo bel portamanto,
E lo bel viso, e'l morbido sguardare;
Chè'l mi terrìa in gran consolamento,
Veggendo la mia donna in gioia stare.
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DI MAZZEO, O MASSEO, O MATTEO
DI RICCO DA MESSINA.
Impressa nell'Allacci.
The first two stanzas have eighteen lines; the third stanza has
seventeen.
Sei anni ho travagliato
In voi, Madonna, amare;
E fede v'ho portato
Più assai, che divisare
E dire vi potrìa.
Ben ho caro accattato
Lo vostro innamorare;
Chè m'ha così ingannato
Con suo dolce parlare,
Che già nol mi credìa.
Ben mi menò follìa
Di fantin veramente,
Che crede fermamente
Pigliar lo sole nell'acqua splendiente,
E stringere si crede lo splendore
Della candela ardente;
Ond'ello immantenente
Si parte, e piange, sentendo l'ardore.
S'eo tardi mi so'addato
Dello mio folleggiare,
Tegnomene beato,
Poich'io sono a lasciare
Lo mal, che mi stringìa:
Chè l'uomo, ch'è malato,
Poi che torna in sanare,
Lo male ch'ha passato,
E lo gran travagliare,
Tutto mette in obrìa.
Oi lasso! ch'i'credìa,
Donna, perfettamente,
Che vostri assettamente
Passassero ghìaccio stralucente.
Or veggio bene che'l vostro colore
Di vetro è fermamente,
Che sanno saggiamente
Li Mastri contraffare allo lavore.
Speranza m'ha ingannato,
Com'uomo ch'ha giucato,
E crede guadagnare,
E perde ciò ch'avìa.
Or veggio ch'è provato
Ciò che avevo a contare,
Ch'assai ha guadagnato
Chi si sa scompagnare
Da mala compagnìa.
A mene addivenìa,
Come avvene sovente
Chi imprenta buonamente
Lo suo a mal debitore e sconoscente
Imperciocch'è malvagio pagatore.
Vacci uomo spessamente,
E non può aver neiente,
Onde alla fine ne fa richiamore.
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Impressa nell'Allacci
Lo gran valore e lo pregio amoroso,
Ch'è in voi, Donna valente,
Tuttor m'alluma d'amoroso foco
Che mi dispera e fammi pauroso,
Com'uom, che di neiente
Volesse pervenire in alto loco.
Ma se gli è distinato,
Moltiplica lo folle pensamento,
E la ventura gli dà piacimento
Dello gran bene, ch'ha desiderato.
Così pensando alla vostra beltate
Amor mi fa paura:
Tanto siete alta, e gaia, ed avvenenente;
E tanto più che voi mi disdegnate.
Ma questo m'assicura,
Che dentro l'acqua nasce foco arzente
E par contra natura.
Così porrà la vostra disdegnanza
Tornare in amorosa pietanza,
Se volesse la mia bona ventura.
Madonna, se del vostro amor son priso,
Non vi paia ferezza,
Nè riprendete gli occhi innamorati.
Guardate lo vostro amoroso viso,
L'angelica bellezza,
E l'adornezze e le vostre beltati,
E sarete sicura,
Che la vostra bellezza mi c'invita
Per forza, come fa la calamita,
Quando l'aguglia tira per natura.
Certo ben fece Amore dispietanza,
Che di voi, donna altera,
M'innamorai poi non v'è in piacimento.
Or come trovaraggio in voi pietanza,
Che non veggio manera
Com'io vi possa dire ciò ch'io sento?
Però, donna avvenente,
Per Dio vi prego, quando mi vedete,
Guardatemi: così conoscerete
Per la mia cera ciò che'l mio cor sente
Sì'nnamoratamente m'ha infiammato
La vostra dilettanza,
Ch'io non mi credo giammai snamorare:
Chè lo cristallo, poi ch'è ben gelato,
Non può avere speranza,
Ch'ello potesse neve ritornare.
E poi ch'Amor m'ha dato
In vostra potestate,
Aggiate a me pietate
Acciò ch'aggiate in voi tutto valore.
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Impresso nell'Allacci
Chi conoscesse sì la sua fallanza,
Com'uom conosce l'altrui fallimento,
Di mal dire d'altrui avrìa dottanza
Per la pesanza del suo mancamento.
Ma per lo corso della iniqua usanza
Ogni uom si crede esser di valimento;
E tal uomo è tenuto in dispregianza,
Che spregia altrui, ma non sa ciò ch'i'sento.
Però vorrìa, che fosse distinato,
Che ciascun conoscesse il suo onore,
E'l disinore, e'l pregio, e la vergogna.
Talotta si commette tal peccato,
Che s'uomo conoscesse il suo valore,
Di dicer mal d'altrui non avrìa sogna.
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DI PANNUCCIO DAL BAGNO PISANO
Anno 1250.
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Madonna, vostr'altero piacimento,
E la gran conoscenza,
E la valenza, che'n voi tuttor regna,
E stato han preso altero a compimento,
Con sì vera potenza,
Che ognor crescenza in altura degna,
Han conceduto in me servo di voi
Perfezione, in coi
Han messo di volere proprio fiso,
D'ogni penser diviso,
Di voi solo in servir la signorìa
Fermato, e ciò meo cor solo disìa.
Del vostro signoraggio, donna, sono
Con compiuto volere,
E col podere intero in lui servire,
E mai che solo ciò, nente ragiono,
Nè già d'altro piacere
Porìa avere, potess'onde gioire:
Onde sovrana aver dunque gio'deggio,
Quasi poi certo veggio
Che non v'è solo meo piacer servire,
Ma stimo, al mio sentire,
Ch'amor tanto di voi in me procede,
Che degno in tanto sia meo cor non crede
Degn'esser quanto fo no for'amato
Da voi, Donna piacente,
Sì veramente, com'eo credo fiso,
Ma voi pur degna siete, che sia dato
Amor chi fermamente
Per voi servente di voi è assiso.
E come veramente, donna, è degno
Diven che allorchè segno
Vedeste per sembianza ch'io v'amava,
E servir disiava,
E l'meo cor conoscente sì com'era
Di voi per vostra conoscenza altera.
Poi certa, Donna, vi fe'conoscenza
Del meo e vostro core,
Ch'era d'amore di voi, com'è, priso,
Fu'l vostro altero di sì nobile essenza,
Che mi donò sentore
Quasi color di ben di voi commiso,
Dandomi quasi ferma intenzione.
Ch'è vostra oppenione
Per sembianza vi dovesse amare
Servire e onorare;
Ed eo sì fo: ond'ho magna allegrezza,
Poi m'ha degnato a servo vostra altezza.
Senz'alcun quasi par sono in gran gioia,
Poi ferma aggio voglienza,
Servir, fior di piacenza, vostr'altura;
Nè giammai non credo alcuna noia,
Pesanza, nè doglienza,
Poi la mia intenza in voi solo dimura,
Considerando, che d'ogni vertude
Siete, u'si conchiude
Fontana, e di savere pregio, e orranza
Senz'alcuna fallanza,
Regnando in voi per se ciascuno bene,
A perfezion con voi tuttor convene.
Donna, poi immaginai
La piacente di voi nel cor figora,
È stata mia dimora
In chiarezza lucente in parte vera,
Che, prima ciò fosse, era
In tenebre d'errore in parte scora,
Ove già alcun'ora
Di ben non mi sovvene quasi mai,
Ma poi ch'a voi fermai
Servendo, pien di gioi'son stato intera:
Uom tornato di fera,
Da voi sì so', allumato poi v'amai.
DI BARTOLOMEO DI SANT'ANGELO
Anno 1250.
Impresso nell'Allacci
Eo son sì ricco della povertate,
Che i'porìa fornir Roma e Parise,
Genova, Pisa, Fiorenza, ed Assise,
Asti, Venezia, Padua civitate;
Perch'i'ho di possession tante fiate
Tra nihil e niente, ed altre guise,
Che i'recoglio all'anno com'si dise
Fra nulla e cica ben mille carrate.
Ed ho in danari liberi ed in gioie
Che val ben cento cifre, e fien ne gotta;
E sovra ciò gli amici empio di vento.
Sì che per spendre assai non mi spavento,
Pur ch'i briganti vegnan a dirotta,
A mia ricchezza tollen tutte noie.
DI SALADINO DA PAVIA
DONNA E MESSERE
DON.
Messer, lo nostro amore
In gran gio'fue cominciato,
Or lo veggio mancato da tua parte
Lassa, lo cor mi parte di pesanza.
Messer, lo nostro amore
D'un'amorosa voglia fue cominciato.
D'una mente, e d'un core, e d'un volere
Lo nostro amore è stato.
Ond'ho mortal dolore;
Dalla tua parte veggiolo mancato.
Che mi se'straniato,
Di me non curi niente,
Lassa, lo meo cor sente pena forte,
Che mi conduce a morte di pesanza.
MES.
Donna, per meo volere
Già non forìa mancato il nostro amore;
Ma fue vostro piacere
Di darmi comiato a disonore;
Non ti conto a sapere
A servir contra grato uomo a signore
Ch'eo ti fui servidore,
Senza nulla cagione
Destimi guiderdone e comiato;
Così m'hai meritato di tua amanza.
DON.
Messer, molte fiate
Le donne, per provare i loro amanti,
Mostransi corucciate,
Non di cor, ma di vista e di sembianti.
Or non vi disdegnate,
Chè molte donne il fanno a'loro amanti.
Partirò voi davanti,
Da poi che v'è a piacere;
Tornami a ben volere in cortesìa
Ch'e'ho gelosìa non aggi altra intendanza.
MES.
Donna, per mia leanza
Non ti bisogna d'aver gelosìa
Ch'eo pigli altra intendanza.
Non fui sì meritato della tia,
Saccilo per certanza,
Che tutto'l tempo della vita mia
Eo non vo'signorìa
Di donna sì follemente,
Che per neente dà pene e tormente;
Per una gioia dà mille tristanza.
Although this canzone is here attributed to Semprebene da Bologna, DGR identifies it as
the work of Prinzivalle Doria.
DI SEMPREBENE DA BOLOGNA
Although this canzone is here attributed to Semprebene da Bologna, DGR identifies
it as the work of Prinzivalle Doria.
Come lo giorno quando è al mattino
Chiaro e sereno, ed è bello a vedire,
E gli augelletti fanno lor latino
Cantare fino, ch'è dolce ad audire,
E poi a mezzo giorno cangia e muta,
E torna in pioggia la dolce venuta,
Che mostrava;
Lo pellegrino, che securo andava,
Per la speranza del bel giorno, quello
Diventa fello e pien di pesanza;
Così m'ha fatto Amore, a mia certanza.
Così m'ha fatto Amore certamente,
Ch'allegramente in prima mi mostrao
Sollazzo e tutto ben dall'avvenente;
Alla più gente lo cor li cangiao.
Credendomi di trar tutta mia vita
Savio, cortese, di bella partita,
E gir per quella baldo,
Che passa giacinto e smeraldo,
Ed ave bellezze, ond'eo disìo.
E saccio e crio, che follìa lo tira,
Chi lauda'l giorno avanti che sia sira.
Assai val meglio lo non cominciare,
Che poi lo fare non val ripentanza.
Per voi m'ha messo, bella, Amore in mare;
Fammi tornare a porto d'allegranza,
Che voi m'avete tolto remi e vela
E travaglia lo meo cor, mè medela
Spera ei, donna mia.
Poi m'hai levata la tua compagnia,
Rendetelami, Donna, tutta in una
Che no è in fortuna tuttavia lo Faro,
E presso a notte vene giorno chiaro.
Più bella par la mare, e più sollazza
Quand'è in bonazza, che quand'è turbata:
La vostra cera, che'l meo core allazza
Par ch'a voi plazza chè m'è corucciata:
Chè non è donna, che sia tanto bella,
Che s'ella mostra vista, e gronda fella,
Che non disdica.
Però vi prego, dolce mia nemica,
Da voi si mova mercede e pietanza,
Sì che d'erranza mi traggiate, Donna,
Chè di mia vita voi siete colonna.
DI BONAGGIUNTA URBICIANI
DA LUCCA.
Gioia, nè ben non è senza conforto,
Nè senza rallegranza,
Nè rallegranza senza fino amore.
Ragion è, chi venir vuole a bon porto
Della sua disianza,
Che in amoranza metta lo suo core;
Chè per lo fiore spera l'uomo frutto,
E per amor ciò ch'è desiderato.
Perchè l'amore è dato
A gioia e a conforto senza inganno.
Che se patisse inganno, fora strutto
Lo ben d'amor, che tanto è conservato;
Nè fora disiato,
Se avesse men di gioia che d'affanno.
Tant'è la gioi', lo pregio, e la piacenza,
Laond'esce l'onore,
E lo valore, e'l fino insegnamento,
Che nascon d'amorosa conoscenza,
Chè differenza amore
Non prende da verace compimento.
Ma fallimento fora ad acquisitare,
Senz'affannare, sì gran dilettanza;
Cà per la soverchianza
Vive in erranza quel che s'umilìa.
Chi gio'non dà, non può gioia acquisitare,
Nè bene amare chi non ha in se amanza,
Nè compir la speranza
Chi non lassa di quel che più disìa.
Perchè serìa fallire a dismisura
Alla pintura andare
Chi può mirare la propria sustanza.
Chè di bel giorno vist'ho notte scura
Contra natura fare,
E traportare'l bene in malenanza;
Onde bastanza fora, donna mia,
Se cortesìa mercede in voi trovasse,
Che l'affanno passasse,
E ritornasse in gioia ed in piacere,
Chè troppo sofferir mi contrarìa,
Com'uom, ch'è'n via per gir, che dimorasse
E'nanti non andasse
Nè ritornasse contra suo volere.
Volere aggio e speranza d'avanzare
Lo meo cominciamento
Per tal convento ch'eo non sia in piacere.
E ben volesse a reto ritornare
Contra lo meo talento
Nè valimento n'aggia, nè podere.
Così mi fere l'amor, che m'ha priso
Del vostro viso gente e amoroso,
Per cui vivo gioioso,
E disioso sì, ch'eo moro amando;
E ciò, ch'eo dico, nullo dir m'è avviso.
Sì m'ha conquiso, e fatto pauroso
L'amore, ch'aggio ascoso
Più ch'eo non oso dire a voi parlando.
Although this canzonetta is here attributed to Bonaggiunta Urbiciani, DGR
identifies it as the work of Pier Moronelli.
Donna amorosa,
Senza mercede
Per la mia fede,
Di me giocate,
Com'uomo face
D'uno fantino
Che gio'li mostra
E gioco, e ride:
Da poi che vide
Sua volontade
Lo'nganna e tace:
Ecco Amor fino.
Pur alle noie
Lo fa angosciare,
Non li vuol dare
Gioia d'amare.
Però mal pare
Lo troppo fare,
Quanto lo mino.
Sicchè giocando,
Posso perire,
E mal soffrire,
Como l'astore
Che pezz'ha è priso
E mal guardato,
E allora quando
Lo va vedere,
E per tenere
Lo suo Signore
Trovalo impiso,
E diffilato.
Donqua, Madonna.
Se voi m'amate,
Or mi guardate.
Di me aggiate,
Bella, pietate.
Non mi lassate
Tanto obliato.
Se voi, Madonna,
Ben mi volete,
Come dicete,
Di ciò son fello,
Ch'io pur aspetto
Bocca parlando.
Ben par che voi
Vi dilettiate
Di me ch'amate,
Como'l zitello
Dell'augello
Va dilettando
Finchè l'auccide.
Tanto lo tira
E poi lo mira,
Forte s'adira,
E tosto gira,
Tralli dell'ira,
E va giocando.
O avvenente
Madonna mia,
In quella dia
Ch'i'mi ci addusse;
Li tanti passi
Furo a ventura.
Ver'è che voi
Veder volea,
Ma mi credea
Che preso fusse
S'io vi guardassi,
Per la figura.
Ma tal si pensa
Scaldar che s'arde;
Però ben guardi,
E non più tardi;
Dei dolci sguardi
Ben sente dardi,
Caldo, e freddura.
--*--
La mia amorosa mente,
Quando voi, bella, sente,
Non può in altro pensare,
Se non di voi piacente:
Tanto siete avvenente,
E d'amoroso affare.
Però, bella, mi pare
Vedere così voi,
Come fosse una gioi',
Ch'ha nome somigliante,
Che mi pare davante.
Pensieri e pensamento,
E amoroso talento,
M'adobla lo tormento.
E poi che m'addormento,
Forte mi dispavento.
Risguardami la mente,
E dicemi, indormente?
Dolente, non dormire;
Levati, a va vedire;
Chè nullo amor s'acquista,
Se non per dolce vista.
Risvegliomi infiammato,
Chè al sonno fui tentato
D'amor, che mi soddoce.
E poi ch'eo fui svegliato
Rivolsimi in quel lato
Là'nde venìa la voce,
E parvemi una luce,
Che lucea quanto stella;
La mia mente era quella,
Ch'al sonno mi tentava
Di voi, bella, ch'amava.
Perdut'ho lo dormire
Desiando vedire,
Bella, lo vostro viso.
Donqua posso ben dire,
Che m'ha fatto infollire
Amor, che sì m'ha priso.
E poi con dolce riso,
Quando voi mi sguardate,
Così m'alluminate,
Che mi torna in dolzore
Lo mal, ch'aggio d'amore.
Così mi traie Amore
Lo spirito e lo core,
Madonna, in voi amando,
Sicchè lo mio sentore
Gli occhi miei di fore
Mandino voi guardando.
Adonqua dico intando,
Perchè lo dice Amore,
Son quello che lo core,
Io che t'alluminai,
Ora difendo e or m'hai.
Saver, che sente un picciolo fantino,
Esser devrìa in Signor che son seguiti.
Schifa lo loco, ov'ello sta al dichino,
E teme i colpi, i quali ha già sentiti.
Chi sì non fa, può perder lo dimino,
E li seguaci trovasi periti:
Però muti voler chi non l'ha fino,
E guardi a'tempi, che li son transiti.
Cà pentimento non distorna il fatto:
Meglio è volontà stringer, che languire:
Che contra face, ciò, ch'eo dico, sente.
Lo saggio apprende pur senno dal matto:
Uom, ch'ha più possa, più dee ubidire:
Catel battuto fa Leon temente.
--*--
Impresso nella Bella Mano.
Chi va cherendo guerra, e lassa pace,
Ragion è che ne pata penitenza:
Chi non sa ben parlar, me'fa, se tace:
Non dica cosa, altrui sia spiacenza.
Chi adasta lo vespaio, follìa face;
E chi riprende alcun senza fallenza
E'fra cent'anni si trova verace;
Chi ha invidia di se, d'altrui mal penza.
Se voi sapeste quel ch'io so di voi,
Voi n'avereste gran doglienza al core,
E non direste villanìa ad altrui.
Però ne priego ciascuna di voi,
Se avete il mal, tenetelo nel core;
Se nol volete udir, nol dite altrui.